Conte non si arrende e promette che girerà casa per casa pur di recuperare consensi e quei 161 voti a suo favore. Giuseppe Conte — nonostante gli scenari che parlano di numeri a rischio, e di centristi che si sfilano da un possibile sostegno al Senato — si è convinto di avere stretto con i leader dei partiti un «patto di ferro» o il suo governo, o le elezioni.
E il sottotitolo dell’intesa è lapidario: «Nessun accordo con Renzi»
A sera, dopo una giornata segnata dall’addio di Mastella e dalla bruciante defezione dell’Udc, da Palazzo Chigi trapela la nuova linea. Il governo va avanti, perché nel mezzo della pandemia l’Italia non può permettersi un vuoto di potere.
Un messaggio concordato con il Pd e i 5 Stelle per allontanare la grande paura montata nelle ultime ore e rimuovere le bucce di banana su cui l’avvocato pugliese rischia, tra domani e martedì, di rompersi l’osso del collo.
La strategia
Adesso tocca aggiustare in corsa la strategia, senza cambiare rotta. Già venerdì sera nelle stanze del premier si sono accorti che l’aria era cambiata in peggio.
Conte si è collegato via zoom con Zingaretti, Di Maio e i capi delegazione dei partiti, ha ammesso problemi con il pallottoliere e anche con parte dei 5 Stelle, contrari a promettere troppe poltrone ai novelli responsabili.
Il Conte ter è una strada
Certo, ma il presidente la ritiene troppo pericolosa. E pare che i «big» del Pd non gli abbiano addolcito troppo la pillola: «Fai bene ad aver paura, Giuseppe...».
La Trappola
Il timore del trappolone c’è. Tanto che da Palazzo Chigi, per assicurarsi numeri solidi, non partono solo le telefonate del premier e del capo di Gabinetto Alessandro Goracci, ma anche quelle del giovane segretario particolare Andrea Benvenuti, 28 anni. Il problema è che i responsabili non si fidano, vogliono vedere i numeri e per ora il pallottoliere è fermo a 154.
Insomma, raccontano sottovoce i dem che sarebbe stato il capo delegazione del Pd, Dario Franceschini, a suggerire a Conte la via maestra. Portare la crisi in aula «alla luce del sole»; spiegare al Paese che è stato Renzi a volere la rottura e chiamare deputati e senatori a una forte assunzione di responsabilità in nome dell’Italia, del Recovery e dei miliardi dello scostamento di bilancio.
E ancora
«Se prendo la fiducia anche con qualche voto in meno dei 161, il governo continua il suo viaggio — ha preso atto Conte — Ma sarà un governo debole». Il contrario di quello che il Quirinale spera. Eppure anche il premier, come i dem, pensa che il tema più importante sia la continuità. E il ministro Gualtieri lo ha rassicurato sul fatto che l’Europa, attraverso il commissario Paolo Gentiloni, è pronta a sostenere anche a un governo che avesse la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato.
Conte, la cui storia politica è solo all’inizio, ha espresso tutte le sue preoccupazioni e Zingaretti e Franceschini lo hanno rassicurato: «La fiducia la prendi, il tema è con quanti voti... Pensiamo a vincere e poi si rafforzerà la maggioranza, dal programma, alla squadra, ai voti in Parlamento». E se tutto va male? Se finisce clamorosamente bocciato, come accadde a Romano Prodi? In virtù del «patto di ferro» che il premier è sicuro di aver stretto con i leader dei partiti, non resterebbe che prepararsi al voto anticipato a giugno. Anche il M5S lo ha rassicurato: «Niente accordi con Renzi, niente governi politici senza di te, niente governi tecnici».(IlCorrieredellaSera)
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