Il giorno più lungo

È stato il lungo giorno dei generali americani. Con dichiarazioni e comunicati hanno preso posizione per prendere le distanze dall’uso politico dei militari. Un messaggio rivolto a Donald Trump, in modo formale – ricordando il diritto a manifestare – o in modo duro, come ha fatto Jim Mattis che lo ha accusato di spaccare l’America. Il capo delle operazioni navali, Mike Gilday, i responsabili della Sesta Flotta, il capo stato maggiore dell’aviazione e quello dell’Us Army, più molti loro colleghi in pensione sono usciti allo scoperto in modo clamoroso e in qualche modo coordinato: l’apparato della difesa è di tutti, rispetta le minoranze, esprime sgomento per la morte di George Floyd a Minneapolis. Sintetizzando, ma il senso è questo. E non potrebbe essere diversamente. Le forze armate statunitensi sono lo specchio del paese, ne fanno parte bianchi, afro-americani, ispanici, persone d’ogni religione. Non sono una «posse», una milizia agli ordini di uno Sceriffo che li fa giurare sulla Bibbia e mette loro la stella sul petto. Rispettano e difendono i diritti costituzionali, obbediscono per via gerarchica e sono state create per combattere il nemico e non i cittadini. Devono restare compatte, lontane – per quanto sia possibile – dalle beghe della politica.

Passo indietro

La Casa Bianca ha cercato di piegarle ad una nuova missione. In nome dello slogan «legge e ordine», in chiave elettorale per mostrare come The Donald sia pronto ad ogni mezzo, sfruttando le evidenti difficoltà delle polizie locali nel tenere testa ai saccheggi (almeno nei primi giorni). Solo che i soldati non sono addestrati a fronteggiare dei dimostranti, non è il loro mestiere e neppure il loro compito. Chi li comanda lo sa bene e non vuole neppure che siano impiegati nelle città statunitensi, definite – incautamente dal segretario alla Difesa Esper – il «campo di battaglia». Da qui la retromarcia, i distinguo dello stesso Esper e del capo di Stato Maggiore Mark Milley, troppo arrendendoli davanti alle richieste del presidente che voleva schierarli nelle strade e nelle piazze. Una retromarcia che potrebbe portare ad altri sviluppi, compreso un «siluramento» di Esper. Il ministro è stato costretto, nella notte, a rimangiarsi la smobilitazione di parte dei parà dell’82esima mandati a Washington come misura di emergenza. Dicono che il presidente lo abbia strigliato. Ora è possibile che il Congresso voglia ascoltare proprio Esper e Milley, deposizioni che devono spiegare quanto è avvenuto nei giorni scorsi. Ma come ipotizzano alcuni esperti non sarebbe strano se la Casa Bianca ponesse il veto. Resta comunque la spaccatura, una linea di frattura iniziata fin dal primo giorno della presidenza Trump: su ogni dossier – dalla Siria all’Afghanistan – i generali si sono trovati in disaccordo con il comandante supremo. Certamente sono contrasti in qualche modo politici, ma alla base c’è anche il modo di considerare le istituzioni. (Corriere della Sera) Leggi anche: Usa.Floyd era positivo al coronavirus. La conferma della seconda autopsia. Seguici su Facebook 41esimoparallelo
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