Zafon, con “L’ombra del vento” conquistò il mondo e quell’ombra ora vaga e veglia per e da altri mondi. Ci lascia così Carlos Ruiz Zafon, uno degli autori spagnoli più letti di sempre per quel suo scrivere che “inganna”: la convinzione di muoversi in un thriller gotico e la scoperta poi, invece, di essere stati ammaliati da una delle passioni più travolgenti, quella per la lettura.

Zafòn o lo ami, o lo odi

Non c’è alcuna via di mezzo se non quella che ti condurrà a leggere, leggere, leggere. E’ quasi come un divorare ogni volta una nuova vita, un novo sapere, l’imbattersi in qualcosa che alla fine sai non sarà mai quello che invece è apparso all’inizio. Questo era Carlos Ruiz Zafon, il contrario di tutto. Figlio di una Barcellona che ha raccontato scrupolosamente in ogni suo libro e in tutte le sue sfaccettature e che ha vissuto sempre seppur da lontano.    

E’ morto, si è dissolto, spento, nell’ombra delle sue meraviglie, all’età di 55 anni, lo scorso 19 giugno.

«Da bambino mi sembrava quasi una magia: bastavano carta e inchiostro per creare vita, idee, personaggi, immagini. I libri mi parevano cancelli aperti su infiniti universi di significato». Per tutta la sua breve ma intensa vita, Carlos Ruiz Zafon, non ha mai perso quello sguardo meravigliato e esterrefatto sulla magia delle storie, della vita stessa, di come incrociare le vie di ognuno e la capacità poi di aprirsi, di spalancare quei cancelli di universi infiniti ai suoi milioni di lettori. Di lui si è detto e scritto di tutto, ma quel che resta sono soprattutto i fiumi di parole per il suo romanzo più celebre, “L’ombra del vento”: dalle recensioni alle tesi di laurea. E tutti a indagare su quale fosse la vera stregoneria che ha incantato milioni di persone. Ancora oggi si cerca di capire, comprendere, ma forse la risposta la diede lui stesso anni fa: «Viviamo in un mondo di ombre e la fantasia è un bene raro». E come dargli torto. Dalla sua fantasia sono nati tanti personaggi “veri” in carne e ossa capaci di essere insieme Indiana Jones e il Santo Graal. Ma soprattutto capaci di entrare a far parte nella vita di ognuno di noi e non uscirne più.  

Nelle sue opere

Sono stati cercati e trovati similitudini e paralleli con scrittori come Poe e Dumas, ma chi lo conosceva lo racconta come lontanissimo dalla figura del bibliofilo austero che le sue storie lasciavano supporre. Molto riservato si, a tratti timido, ma forse il genio che era in lui lo costringeva a chiudersi in altre realtà, in altre verità che poi avrebbe raccontato. «Non si pensa nemmeno che si invecchierà, né che il tempo passi, né che, dal giorno in cui nasciamo, camminiamo verso un’unica fine». Chissà se questa frase del celebre “Il principe della nebbia”, gli è tornata alla mente nel momento in cui ha chiuso gli occhi per sempre. Camminiamo verso un’unica fine è vero, una fine però troppo vicina per te, travolto da quel male incurabile che non ti ha dato il tempo di invecchiare. Zafon, un puro di cuore, come le sue storie, come la magia dei suoi romanzi: un mondo di ombre, nebbia e raggi di luce.

Un mondo, il suo spesso criticato e sottovalutato dagli intellettuali

Ma a lui non interessava, anzi non dissimulava la sua passione per la letteratura per ragazzi, considerati il miglior pubblico: «Sono ben più intelligenti degli adulti – affermò - E soprattutto più sinceri con sé stessi e con i libri. Si avvicinano alle storie puri di cuore e di mente, lontani dalla presunzione che sviluppiamo con gli anni, quando le nostre scelte vengono condizionate dai fattori sociali». E forse è proprio per questo che l’eredità che ci lascia non è quella di un incantatore, né quella di un imbonitore. Ma è una sensazione simile a quella delle favole raccontate dalla mamma prima della buonanotte: quel po’ di inquietudine e la curiosità di sentirle ancora. Quel “ti prego ancora un pò, poi dormo” sussurrato da un bambino mentre stringe forte la tua mano per non chiudere il libro. Quel libro si è chiuso, Zafon non c’è più. E’ volato via e nemmeno il paroliere più bravo al mondo sarebbe capace di descriverne davvero l’assenza, il vuoto che lascia per chi ha sognato e ha creduto alle sue favole, ai suoi racconti. Perché ci hai creduto? Perché «Gli esseri umani sono disposti a credere a qualunque cosa tranne che alla verità». (di Nunzia D'Aniello) Leggi anche: George Floyd, una vittima, un simbolo, un ”nero”? No! Un uomo. Metti like alla pagina 41esimoparallelo e iscriviti al gruppo 41esimoparallelo
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