📍 Luogo: Israele
Il conflitto tra Israele e Iran ha raggiunto nuovi livelli di intensità il 20 giugno 2025. La città di Beersheba, nel sud di Israele, è stata colpita da un missile balistico partito dal territorio iraniano. L’attacco ha provocato il ferimento di almeno cinque persone e ha causato gravi danni a infrastrutture civili, tra cui un ospedale. In risposta, Israele ha intensificato i bombardamenti su obiettivi militari iraniani, colpendo siti strategici nelle zone di Arak e Natanz, già noti per la presenza di impianti nucleari.
Centinaia di vittime e feriti nei due Paesi
Dall’inizio dell’escalation armata, le vittime in Iran hanno superato le 650 unità. I raid israeliani hanno preso di mira postazioni militari, depositi di armamenti e centri di ricerca sensibili. In Israele, invece, il numero dei feriti ha superato i 240, molti dei quali civili. I danni maggiori si sono registrati nelle città del sud e nei pressi dei centri ospedalieri.
Israele – Iran: Tensione diplomatica e tentativi di mediazione
Mentre il fronte militare resta caldo, sul piano diplomatico si aprono spiragli: i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Regno Unito si incontreranno a Ginevra con il ministro iraniano per discutere una possibile ripresa dei negoziati sul programma nucleare. Gli Stati Uniti, attraverso il Segretario di Stato, hanno ribadito la loro posizione netta contro un Iran dotato di armi nucleari.
Opinione pubblica divisa e reazioni interne
In Israele, l’opinione pubblica è per lo più compatta nel sostenere l’azione militare contro l’Iran: oltre l’80% della popolazione ebraica ha espresso appoggio alle decisioni del governo. Diversa la posizione delle minoranze interne, più scettiche sull’escalation. In Iran, invece, la propaganda interna continua a rafforzare l’immagine della resistenza, anche se emergono segnali di insofferenza tra la popolazione.
Guerra Israele – Il ruolo degli alleati e lo spettro di un intervento USA
Nonostante le minacce, le milizie alleate dell’Iran – Hezbollah, Hamas e altre forze sciite – non sono ancora entrate direttamente nel conflitto. Gli Stati Uniti restano osservatori armati: il presidente ha concesso un termine di due settimane per valutare un’eventuale partecipazione diretta al conflitto, lasciando il mondo in attesa di sviluppi cruciali.