Nel cuore dell’Austria, a Salisburgo, tre suore agostiniane ultraottantenni hanno compiuto un gesto che ha attirato l’attenzione internazionale: hanno lasciato la casa di riposo dove erano state trasferite contro la loro volontà e sono tornate al loro vecchio convento abbandonato, il Monastero di Goldenstein, da cui erano state “sfrattate” dopo decenni di vita comunitaria e di insegnamento. Per loro, l’ospizio non è casa: “Preferiamo morire altrove, ma non lì”, è il messaggio che accompagna la loro scelta.
Le protagoniste: una vita tra fede, insegnamento e comunità
Le tre suore sono Suor Bernadette (88 anni), Suor Rita (81) e Suor Regina (86). Per decenni hanno vissuto nel monastero di Goldenstein, non solo come religiose ma come educatrici: hanno insegnato nella scuola privata femminile adiacente al convento, formando generazioni di ragazze. Il monastero non era solo un luogo di preghiera, ma di vita comunitaria, di abitudini condivise, di memoria collettiva.
Alla fine del 2023, dopo il ricovero di due di loro, iniziarono le pressioni (o decisioni dell’autorità ecclesiastica) che portarono al loro trasferimento in una casa di riposo, contro la loro volontà. Nessuna delle tre, dicono, è stata consultata. Le condizioni fisiche venivano giudicate precarie, così come la struttura del monastero. Il prevosto ha motivato il trasferimento con motivi di sicurezza, salute e di struttura del convento.
La “fuga” e il ritorno al convento abbandonato
Non contenti del trasferimento, le suore hanno meditato a lungo il ritorno. Aiutate da ex studentesse e da un gruppo di sostenitori, hanno organizzato la loro partenza dalla casa di cura e l’occupazione del convento: hanno riportato mobilia, beni essenziali, riorganizzato stanze, riattivato l’elettricità, reperito cibo e assistenza medica a domicilio.
Al loro ritorno, hanno dichiarato: “Abbiamo dormito meglio qui di quanto non facessimo da tanto tempo. È casa nostra, non ce ne andremo mai più”. Per loro, la casa è un concetto che va oltre le condizioni materiali: è identità, storia, affetti, senso di comunità.

Il conflitto con la Chiesa locale
La decisione del ritorno non è stata ben accolta dai vertici ecclesiastici. La presidente della federazione delle Agostiniane ha definito l’atto “indisciplinato”, mentre il prevosto ha espresso preoccupazione che le suore stiano sopravvalutando le proprie forze, dato l’avanzare dell’età e lo stato di salute.
Ma le suore ribadiscono che non vogliono ‘morire in casa di riposo’. Preferirebbero trascorrere gli ultimi anni nella loro casa originaria, anche se abbandonata, con dignità, autonomia il più possibile mantenuta e con il contributo di chi le sostiene.
Il significato umano e simbolico
Questo episodio tocca una serie di questioni che vanno ben oltre il semplice “conflitto su dove vivere”.
- Dignità nell’età anziana: l’idea che la vecchiaia non significhi perdita di valore individuale; che anche a ottanta-novanta anni è possibile avere un senso di appartenenza, di cura, di vita comunitaria.
- Autonomia e rispetto della volontà personale: le suore denunciano di non essere state consultate. Il principio che le persone, anche religiose, abbiano diritto a decidere almeno dove vivere la propria vita finale.
- Il rapporto con l’istituzione religiosa: quando la gerarchia prende decisioni che modificano radicalmente la vita di religiose anziane, quanto è rispettato il dialogo? Quanto prevalgono esigenze burocratiche o strutturali rispetto al benessere delle persone?
- Comunità e solidarietà laica: l’aiuto di ex studentesse, di sostenitori laici, la presenza di un medico che visita a domicilio, l’elettricità, il cibo: tutto questo dimostra che non è solo un atto romantico, ma una decisione concreta che resiste grazie al supporto sociale.
Questioni pratiche: salute, assistenza, sicurezza
Tornare in un convento abbandonato comporta rischi:
- Le condizioni strutturali del monastero sono deteriorate: soffitti, finestre, impianti, riscaldamento, isolamento possono non essere sicuri per persone anziane.
- L’assistenza medica è ridotta: sebbene abbiano un medico che le visita, non è come avere un ospedale o infermiera presente costantemente.
- Il rischio di isolamento: trasporti, comunicazioni, accesso a servizi essenziali possono risultare complicati.
- L’investimento del sostegno esterno (alimentare, elettricità) deve essere costante: la comunità che aiuta non può essere solo “romantica”, ma organizzata e stabile.
Simili casi e precedenti
Non è la prima volta che emerge un conflitto simile, soprattutto in contesti religiosi:
- Religiose che scelgono di restare nella loro comunità nonostante età avanzata o condizioni difficili, per fedeltà storica al luogo.
- Proteste delle anziane contro trasferimenti forzati o decisioni prese senza consultazione.
- Movimenti laici che sostengono forme alternative di assistenza per gli anziani: case famiglia, comunità protette, abitazioni condivise, ripristino della casa d’origine.
Questi casi spesso sollevano riflessioni su come società, Chiesa e istituzioni si rapportano all’età, al valore delle persone anziane, alla libertà di vivere gli ultimi anni nella familiarità del luogo che hanno scelto.
Lo stato attuale e cosa potrebbe succedere
La vicenda è tutt’altro che chiusa: le suore hanno fatto ritorno al convento, ma:
- C’è ancora polemica istituzionale: la Curia teme conseguenze legali, problemi di sicurezza, eventuali critiche pubbliche.
- Non è chiaro se verranno fatti lavori per rendere il monastero vivibile pienamente, o se rimarrà una presenza simbolica.
- Il sostegno dei sostenitori potrebbe vacillare se le condizioni peggiorano, o se le autorità intervengono con richieste formali di sgombero.
Potenziali scenari:
- Le suore rimangono definitivamente al monastero, trovando un accordo con la Chiesa locale per il supporto strutturale e sanitario.
- Viene aperto un dialogo istituzionale per garantire sicurezza e assistenza (anche se lontano da una casa di cura) in un contesto comunitario.
- Possibile intervento delle autorità civili per garantire diritti all’assistenza, valutazione dello stato edilizio, normativo.
Tre suore ottantenni che scelgono di tornare al convento dalla casa di riposo non sono semplicemente protagoniste di una “fuga”: sono voci che mettono a tema dignità, volontà, appartenenza.
“Non moriremo in casa di riposo” non è solo uno slogan, ma una dichiarazione forte: anche negli anni più fragili, le persone chiedono rispetto, che la propria vita abbia senso nel luogo che ha significato la propria storia.
Questo gesto, nella sua semplicità, diventa provocazione morale: invita la Chiesa, le comunità, le istituzioni a riflettere su come trattano chi ha vissuto decenni al servizio degli altri, su quanto ascolto, rispetto, autonomia vengano riconosciuti alle persone anziane.