Indagini su zone rosse
Per quanto nascoste da tutti i media (a parte lodevoli eccezioni), le dichiarazioni di due giorni fa della pm di Bergamo che indaga sulla mancata zona rossa in Val Seriana sono di una dirompenza politica incredibile.
E forse inattesa. "Da quel che ci risulta era una decisione governativa”, ha detto Maria Cristina Rota. Una lettura che smonta le convinzioni di chi è convinto che se la Bergamasca non è stata chiusa come Codogno, la colpa sia tutta da addossare alla Regione. E che ha costretto il governo ad una preoccupata contro-offensiva auto assutoria. In vista, probabilmente, di una convocazione di fronte ai magistrati.
Palazzo Chigi ha fatto trapelare via Corriere la presenza di un “dossier” (?) sul tavolo di Giuseppe Conte. La linea difensiva resta quella già tracciata a suo tempo da Francesco Boccia, ministro degli Affari regionali e grande fustigatore dei governatori. Il piddino aveva riesumato una vecchia legge del 1978 secondo cui “anche la Regione poteva istituire la zona rossa” in “piena autonomia”.
Cosa dice la legge
L’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978 n.833 dice che spetta al ministro della Sanità emettere ordinanze in materia di igiene e sanità pubblica, ma anche che “nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale”. Insomma: Fontana poteva fare di testa sua. Ma è davvero così?
I ragionamenti da fare sono due. Uno di tipo pratico-giuridico, l’altro di natura politica. Iniziamo dal principio. Sabino Cassese, giudice costituzionale emerito, ha già spiegato in tv che “l'errore è stato ritenere che questo intervento fosse un intervento normale in materia di sanità, mentre riguarda un'epidemia diventata pandemia, e le profilassi internazionali sono indicate come materie di competenza esclusiva dello Stato”. Il riferimento è agli articoli 117 e 120 della Costituzione, secondo cui in casi di “profilassi internazionale” è il governo centrale a dover sbrogliare la matassa. Non le Regioni. Se ci trovassimo di fronte ad una lotta tra fonti del diritto, a prevalere sarebbe ovviamente la Carta fondamentale e non la legge del '78.
Il Ministro
Va detto inoltre che lo stesso Boccia, pochi giorni fa, per evitare che la Sardegna bloccasse gli ingressi ai turisti lombardi, ha ricordato “l’articolo 120 della Costituzione" secondo cui "la Regione non può istituire provvedimenti che ostacolino la libera circolazione delle persone”. È l'esatto contrario di quanto sostenuto per la zona rossa nella Val Seriana, dunque la domanda sorge spontanea: se Solinas non può bloccare i turisti, perché Fontana avrebbe potuto chiudere in autonomia Nembro e Alzano Lombardo?
Infine c’è da tener conto del contesto politico del momento. Primo: le “zone rosse” di Vo', Codogno e Medicina sono state istituite "di concerto con la prefettura" e comunque grazie all’impiego della forza pubblica garantita dal governo. Secondo: in quei giorni Roma chiedeva alle Regioni di non fare di testa propria e di seguire la rotta segnata da Roma. Quando Luca Ceriscioli, governatore Pd delle Marche, decise di chiudere le scuole in barba alle indicazioni di Palazzo Chigi, il governo decise addirittura di impugnare l’ordinanza. E le dichiarazioni dell’esecutivo in quei giorni seguivano la stessa identica litania.
La linea
Ecco alcuni esempi. Speranza: “È indispensabile che ci sia un solo centro di coordinamento per la gestione dell’emergenza in cui siano pienamente coinvolte tutte le regioni e con la guida del nostro coordinamento scientifico. Non servono scelte unilaterali di singoli territori”. Conte: “Non è possibile che tutte le Regioni vadano in ordine sparso perché le misure rischiano di risultare dannose”.
Boccia: “Ogni amministrazione territoriale, prima di emanare qualsiasi tipo di ordinanza, deve raccordarsi con l’autorità nazionale al lavoro in maniera permanente presso la sede della Protezione Civile. Agire in maniera autonoma, senza un raccordo nazionale, rischia soltanto di creare caos e disinformazione”. Davvero c’è chi pensa che Fontana avrebbe potuto agire da solo, senza subire l’ira funesta del Consiglio dei ministri? (Il Giornale)
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