Omicidio Vannini, per i giudici tutta la famiglia Ciontoli scelse di "non fare nulla" e "ha agito in maniera spietata"
L'intera famiglia Ciontoli scelse "di non fare alcunche' che potesse essere utile a scongiurare la morte" di Marco Vannini. Lo scrivono i giudici della corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui il 3 maggio scorso hanno confermato la condanna a 14 anni di carcere per Antonio Ciontoli, accusato di omicidio volontario con dono eventuale del ragazzo che la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015 venne ucciso con un colpo di pistola mentre si trovava a casa della fidanzata a Ladispoli, centro sul litorale romano. I giudici avevano ratificato anche la condanna a 9 anni e 4 mesi ai figli di Ciontoli , Martina e Federico e alla moglie Maria Pezzillo. Nei loro confronti l'accusa e' di concorso anomalo in omicidio volontario. La Suprema corte afferma che gli imputati "accettarono" la morte di Vannini "all'esito di un infausto bilanciamento tra il bene della vita del giovane e l'obiettivo avuto di mira, ovvero evitare che emergesse la verita' su quanto realmente accaduto". Nelle motivazioni di oltre sessanta pagine i giudici si concentrano sul comportamento del capofamiglia. Antonio Ciontoli, militare di Marina e successivamente ai Servizi segreti come distaccato. Lui era il "detentore di armi da fuoco e autore dello sparo". Si afferma inoltre che Ciontoli "ha interrotto bruscamente la prima telefonata al 118 effettuata dal figlio Federico e dalla moglie affermando 'non serve niente'. Giunto al Pit di Ladispoli ha preteso di conferire con il medico di turno, spiegando che l'incidente doveva essere mantenuto il possibile riservato, in ragione del suo impiego alla Presidenza del Consiglio". Per i giudice si tratta di un comportamento che ha provocato "uno stato di soggezione" nei componenti della sua famiglia. Una situazione che si "desume da molteplici circostanze: tutti gli imputati, dopo aver compreso l'accaduto, omisero di attivarsi per aiutare effettivamente Marco".