Con una sentenza destinata a segnare un punto di svolta nel diritto di famiglia italiano, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere il figlio nato in Italia attraverso fecondazione assistita praticata legalmente all’estero. Un pronunciamento che riconosce non solo la pari dignità dei nuclei omogenitoriali, ma soprattutto il diritto fondamentale del minore all’identità personale e alla bigenitorialità.
Sentenza storica, la decisione della Corte: tutelare il diritto del minore ad avere due genitori
Secondo quanto stabilito dalla Consulta, impedire il riconoscimento alla madre intenzionale — ovvero colei che ha prestato consenso consapevole alla procreazione — costituisce una violazione degli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione. In particolare, la Corte ha sottolineato come tale limitazione:
- leda il diritto del minore all’identità personale e a uno status giuridico certo e stabile (art. 2);
- risulti irragionevole, in assenza di controinteressi costituzionali (art. 3);
- comprometta il diritto del minore ad avere due genitori responsabili della sua educazione, mantenimento e assistenza (art. 30).
La centralità del consenso e dell’interesse del minore
La Corte ha fondato la propria decisione su due capisaldi: da un lato la responsabilità genitoriale assunta con il consenso alla PMA, dall’altro la centralità dell’interesse del minore. Quest’ultimo deve poter godere di una relazione stabile e continuativa con entrambe le madri, sia quella biologica che quella intenzionale, che ha partecipato consapevolmente alla scelta genitoriale.
La testimonianza da Lucca: una vittoria per le famiglie omogenitoriali
Glenda e Isabella, una coppia sposata di Lucca, sono tra le prime a beneficiare della decisione della Corte. Mamme di due figli, uno dei quali nato dopo la circolare del Ministero dell’Interno che negava il riconoscimento alla madre intenzionale, hanno vissuto mesi di incertezza e timore, soprattutto per le implicazioni sanitarie, legali e successorie.
Come racconta Isabella: “Andare a prendere mio figlio a scuola era un problema. Non essere riconosciuta come madre mi metteva in difficoltà ogni giorno. Ma ora possiamo finalmente dire che la giustizia ha fatto un passo avanti”.
Sentenza storica, i dubbi di legittimità sollevati dai tribunali di Lucca e Padova
A portare la questione alla Consulta è stato il tribunale di Lucca, che ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale sull’articolo 8 e 9 della legge 40/2004 e sull’articolo 250 del Codice Civile, per non consentire il riconoscimento del figlio anche alla madre intenzionale. Il giudice ha evidenziato la mancanza di una normativa uniforme e le differenze interpretative tra i Comuni italiani, spesso costretti ad agire nel silenzio del legislatore.
Le posizioni del Ministero dell’Interno e del Comune di Lucca
Il Ministero dell’Interno, costituito in giudizio, ha sostenuto che gli atti di stato civile non producono effetti costitutivi, bensì documentativi. Ha inoltre ribadito che la fecondazione eterologa è prevista solo per specifici casi clinici, secondo la legge italiana. Di contro, il Comune di Lucca ha difeso la legittimità dell’atto di nascita con doppio cognome, ritenendolo conforme all’interesse superiore del minore.
Una svolta che attende ancora l’intervento del Parlamento
Sebbene la Corte abbia dichiarato l’incostituzionalità del divieto di riconoscimento per la madre intenzionale, resta urgente un intervento legislativo. La Consulta ha ribadito che non ci sono ostacoli costituzionali a una riforma che estenda l’accesso alla PMA anche a donne single e famiglie monoparentali, oggi escluse dalla legge 40/2004.